Don Bosco santo educatore

Don Bosco guarito da una grave malattia dice ai suoi ragazzi: “Vi devo la vita. Ho promesso a Dio che fino l’ultimo respiro sarà per i miei cari giovani”.

Don Bosco fu un educatore eccezionale. La sua acuta intelligenza, il suo senso comune e la sua profonda spiritualità lo guidarono a creare un sistema di educazione che sviluppa tutta la persona – corpo, cuore, mente e spirito. Esso favorisce la crescita e la libertà, mentre mette il ragazzo al centro di tutta l’opera educativa.

Per distinguere il suo metodo dal sistema repressivo di educazione, prevalente nel XIX secolo in Italia, egli ha chiamato il proprio metodo sistema preventivo – perché esso cerca il modo di prevenire la necessità della punizione, collocando il ragazzo in un ambiente in cui egli è incoraggiato a dare il meglio di sé. Questo è un approccio congeniale, amichevole, integrale all’educazione.

Esso crea un clima che ‘trae fuori’ (educere) il meglio dal ragazzo, che incoraggia la sua completa e piena espressione di sé, che aiuta il ragazzo ad acquisire atteggiamenti che lo guidino a scegliere ciò che è buono, sano, gioioso e fa crescere la vita.

Illuminare la mente per rendere buono il cuore”. Così don Bosco, nella seconda metà dell’800, scriveva in una prefazione alla “storia Sacra”. È una frase che rappresenta la sintesi di un progetto che ancora oggi rivoluziona l’educazione e tramite l’educazione rivoluziona il mondo: l’invito ad una partecipazione attiva alle questioni del tempo e della società perché si possano cambiare fino alla radice, il cammino verso una consapevolezza critica che tramite la ragione cerchi risposte originali e innovative.

L’invito di don Bosco ad essere “buoni cristiani e onesti cittadini” è il frutto di una complessità del pensiero cristiano che ancora oggi fatica ad essere compresa: non si può essere buoni cristiani se non si lega alla dimensione religiosa quella della giustizia, declinata attraverso l’onestà della partecipazione alla vita comune, e cioè alla cittadinanza.

Questa pensiamo sia la missione della scuola salesiana, una missione che si realizza nella quotidianità, che si evidenza con un gessetto sulla lavagna, che si articola in una lezione di filosofia o matematica, che esplode in una risata insieme agli studenti, in una partita di calcetto o nel canto animato dal complessino. Una missione articolata la cui semplicità è sempre il frutto di una complessità di relazioni, di progettualità condivisa e studiata, perché l’educazione non si improvvisa e l’educatore non agisce nell’emergenza.

Ecco che allora la rievocazione della figura di Don Bosco non è la celebrazione di un mito del tempo passato ma l’occasione di fare memoria, e cioè di riscoprire il senso del nostro stare qui: “illuminare la mente per rendere buono il cuore”. Fare memoria di Don Bosco è riscoprire le parole chiave della Spiritualità Giovanile Salesiana: l’allegria, la quotidianità, l’itinerario, i tempi lunghi, lo sguardo educativo, il cortile, l’amorevolezza e condividere tutto con i giovani studenti, non destinatari di un servizio, ma protagonisti attivi e centrali di una comunità che, ogni giorno, cerca di essere “una casa per crescere insieme”.


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